Tommie Smith and John Carlos, gold and bronze medalists in the 200-meter run at the 1968 Olympic Games, engage in a victory stand protest against unfair treatment of blacks in the United States. With heads lowered and black-gloved fists raised in the black power salute, they refuse to recognize the American flag and national anthem. Australian Peter Norman is the silver medalist.

Il 18 ottobre 1968 il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) decretò l’espulsione di Tommie Smith e John Carlos dal villaggio olimpico e vennero sospesi dalla squadra americana. Non c’è margine di manovra per una manifestazione politica alle Olimpiadi, la loro esperienza a città del Messico terminò così ma l’eco di quel gesto continua a fare rumore. Tra chi li critica apertamente e chi li ha erti a eroi del nostro tempo, simboli della richiesta di diritti da parte degli afroamericani.

A photo taken in Melbourne on October 8, 2018, shows a man walking past a giant mural of Australian runner Peter Norman with US sprinters Tommie Smith and John Carlos. - When a principled Peter Norman stood on the podium alongside two Americans in their famous Black Power salute at the 1968 Mexico Olympics, his place in the history books was sealed. As sprinters Tommie Smith and John Carlos raised their black-gloved fists in silence, their heads bowed in protest calling for racial equality in the United States, Norman made a choice that lived with him for the rest of his life. (Photo by William WEST / AFP) (Photo credit should read WILLIAM WEST/AFP via Getty Images)

Il contesto di quella stagione sociale è delicato: erano gli anni del Vietnam, quelli dell’omicidio di Bobby Kennedy, delle rivolte a oltranza in oltre 100 città statunitensi, dell’assassinio di Martin Luther King. La battaglia per i diritti civili degli afroamericani era a un punto di non ritorno. Nel 1965, in occasione della marcia di Selma, centinaia di manifestanti pacifici radunati sul ponte Edmund Pettus furono attaccati dalla polizia dell’Alabama: bastoni, gas lacrimogeni e una risonanza tale che Lyndon Johnson, presidente americano del tempo, promulgò il “Voting Rights Act” che vietava discriminazioni elettorali su base razziale.

E’ in questa cornice che l’America si appresta ad affrontare i Giochi olimpici messicani: il 16 ottobre 1968, la finale dei 200 metri di velocità regala lo stesso identico scenario di sempre. L’America davanti a tutti. Quel giorno, però, accadde un fatto. I velocisti a stelle e strisce, Tommie Smith e John Carlos, rispettivamente primo (con record del mondo) e terzo, in fase di premiazione decisero che occorresse schierarsi. Proprio lì, proprio così: allora, ricevute le medaglie dei voltarono verso la bandiera americana in procinto di ascoltare le note di The Star-Spangled Banner. E scrissero la storia: perché a capo chino, alzarono al cielo un pugno chiuso vestito con guanti neri. Un gesto di adesione alle proteste in atto per il conseguimento dei diritti civili dei neri.

L’intera cerimonia di premiazione, in realtà, celava una serie di simbolismi che i due atleti avevano studiato in maniera meticolosa: scalzi sul podio, con delle calze nere a richiamare la povertà degli afroamericani; sciarpa nera per Smith e tuta sbottonata per Carlos, due differenti modi per dimostrare vicinanza ai lavoratori americani; un guanto nero alla mano, alla destra di Smith e ala sinistra di Carlos (che aveva dimenticato i suoi guanti: ne divise uno con Smith). Mentre lo stadio assisteva in silenzio, anche l’australiano Peter Norman, a suo modo, si unì alla protesta indossando una spilla dell’OPHR, l’organizzazione americana relativa al progetto olimpico per i diritti umani fondata, tra gli altri, dal sociologo Harry Edwards.

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